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SAMAN: DIRITTI UNIVERSALI INALIENABILI 

Una riflessione-denuncia a quattro mani

  21/06/2021

Di Redazione

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L'unico amore in cui credo veramente…

…è quello di una madre per i suoi figli …caro direttore, mi ritorna in mente la citazione di Karl Lagerfeld ogni volta che i vari programmi televisivi propongono l'immagine della madre di SAMAN che segue il marito mentre si presentano all'aeroporto pronti ad involarsi per il Pakistan. Madre? Può definirsi madre chi annulla il sentimento ancestrale verso la creatura che ha partorito perché nella sua comunità vige sopra tutto e tutti la legge “religiosa” o meno del patriarcato? È la famiglia che decide, che ordina, che punisce sino all'estremo, ovviamente per non essere incolpati di disobbedienza dai più e sentirsi così disonorati. Inutile sentirsi ribollire il sangue, nel mondo vigono purtroppo tanti assurdi comportamenti, ma non giustificabili nel nostro Paese. La comunità islamica non è insorta per condannare questo gesto infamante contro una povera creatura che chiedeva solo di vivere come le coetanee della nazione che ha accolto da anni la sua famiglia. Frequentava la scuola con profitto, il suo bel visetto dolce e solare era proteso verso un futuro libero da imposizioni, chiedeva solo di poter dare ascolto al cuore. Legittime aspettative, ma in Italia non vi sono ancora leggi che seguano di pari passo l'integrarsi di chi giunge per trovare migliori possibilità di vita rispetto al paese d'origine. Carabinieri, assistenti sociali si sono adoperati al massimo per seguire, aiutare Saman, ma nulla hanno potuto fare per salvarla dall'arretratezza malvagia della famiglia. Si era affidata alla madre (?) ed è stata la sua fine. Scattano le indagini, i suoi occhi di tenera fiduciosa cerbiatta compaiono ovunque, si pontifica sul come e quando intervenire per pretendere che chi venga ad abitare sul nostro suolo debba seguire i nostri costumi …ma per quanto?? Sino alla prossima sparizione di una giovane donna punita da chi avrebbe dovuto amarla e sostenerla? E non è finita …il fratello più piccolo, il ragazzo pakistano di cui si era innamorata hanno una paura folle di essere a loro volta braccati e uccisi …paura folle? Si, follia che genera terrore in chi osa contrastare i disegni di chi pretende di chiudersi nel buio dell'ignoranza, del non voler sentire, vedere, capire oltre le abitudini secolari che tanto dolore sanno ancora regalare.

Clara Rossini 

Diciamo francamente, seguendo le orme di un'ottima riflessione che Domenico Cacopardo ha riservato all'argomento, che all'iniziale dossier dell'assassinio della poco più che adolescente pakistana Saman Abbas, dato quasi per dovere d'ufficio, si è estesa nel mondo mediatico un'attenzione cresciuta più per effetto dell'imperdibile appealing esercitato dalle mai sopite pulsioni “canare” (meglio se ossessivamente dilatate) che non delle consapevolezze che il fatto dovrebbe imporre. 

Precisiamo subito che un certo imprinting autoctono nei confronti dei delitti/scempio era latente e praticato anche quando (se si pensa ai delitti di Rina Fort) l'informazione era meno pervasiva dei giorni correnti. 

Ma indubbiamente (ben sapendo dell'alta probabilità di attirarci gli strali di certi tutori) l'impressione è che su questi fatti di sangue si debba attivare una percezione meno distratta e marginale. Se è consentito, invece, si dovrebbe allargare la visuale.  

Non è consentito affermare che la tensione sui temi etici riguardi solo le prerogative autoctone; mentre l'impressione è che ci sia un'amplia platea di osservatori/comunicatori propensi a filtrare i diritti civili conculcati (soprattutto, a danno delle donne) sotto la lente delle "culture" primitive. Non un lascia passare per le violazioni; ma certamente un allentamento nell'intensità delle consapevolezze e delle contromisure. 

Siamo tra i propensi (per di più ostracizzati) a flussi migratori tarati sulla sostenibilità e sull'effettiva efficacia di un afflato solidaristico, che, invece, viene vanificato da pratiche inconsiderate. 

Non condividiamo una pre-selezionalità su basi di accertata o immaginata “omogeneità”. 

Le controindicazioni derivanti da una forcella troppo vasta di diversità civica e culturale sono superabili da una forte consapevolezza circa il filtro inaggirabile dell'uniformità delle basi civiche. Di cui devono essere fruitori/tributari tutti (tutti!) i domiciliati in entità geo-istituzionale (a prescindere dal titolo formale di cittadinanza). 

Cacopardo, giustamente, osserva che

dal punto di vista sia formale che sostanziale la Costituzione è il documento che dovrebbe ispirare la vita degli italiani e le loro leggi, come fosse (in teoria lo è) un contratto sociale da far valere nelle corti e nei rapporti interpersonali e con le autorità. 

In questa Costituzione, nella nostra Costituzione, ci sono molte asserzioni che confliggono direttamente con la religione islamica e investono l'antropologia culturale dei popoli islamici.

In materia non si possono e non si debbono fare sconti! Un melting pot che si reggesse su una convergenza di fatto di usi e costumi culturali e li sdoganasse indifferenziatamente (senza che fosse sorretto dal perno condiviso dei diritti e doveri costituzionalmente previsti e garantiti) sarebbe destinato al fallimento dell'”accoglienza e dell'integrazione” nonché al disassamento delle guide portanti delle comunità originarie. 

Ma, evidentemente un po' per ignavia e neghittosità, un po' per subalternanza almeno psicologica all'assertività dogmatica dell'obbligo di “rispettare le culture di provenienza”, un po' ancora per convenienza a non affrontare di petto questioni che invece sono dirimenti, da quando i flussi hanno inforcato si preferisce girare la testa di fronte alle evidenze e praticare una sorta di relativismo.

Come se lo sconto praticato sull'obbligo di armonizzazione dei comportamenti civili, costituzionalmente regolamentati e proclamati, riguardasse indifferenziatamente l'abbigliamento, la pratica dei riti religiosi, le abitudini alimentari, i diritti universali, la parità dei sessi e quant'altro. 

Il “velo” (la cui imposizione o autonoma adozione che fosse già rappresentano una criticità nella declinazione pratica delle libertà individuali) non è equipollente alle libere opzioni in materia di stili relazionali, di affettività, di unioni coniugali. 

C'è insomma una “costituzione di fatto” (confliggente con la Costituzione formale) che viene tollerata. Si finge di non saperlo (lontano dagli occhi, lontano da…). Probabilmente si pensa che se loro credono giusto comportarsi così, facciano. Importante è che, come le etnie indo pakistane e metabolizzate nella filiera produttiva (disdegnata dagli autoctoni più propensi al reddito di cittadinanza), accudiscano bene le stalle e le piantagioni. 

Se poi qualcuno di rito mussulmano pratica la poligamia. E qualcun altro esercita tra le mura domestiche un tirannico patriarcato (di cui sono vittime sacrificali le donne) che integra persino il potere di imposizione coniugale… fatti loro… 

È in tali contesti di permissivismo quando di vera e propria tolleranza/equiparazione di sistemi civili confliggenti dal punto di vista ordinamentale che attecchiscono stili di vita inaccettabili e ripugnanti per le nostre coscienze civili. 

La cui reiterazione, in assenza di una testimonianza attiva dello Stato, consoliderà inevitabilmente comunità parallele. Conculcando le aspettative di emancipazione appena assaporate da giovani italiane di fatto, come Saman Abbas. (e.v.)

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